Musealizzazione della Necropoli di Pill’ ‘e Mat[t]a, a Quartucciu
Una sorprendente scoperta archeologica e lunghe campagne di scavi hanno permesso il recupero, nel sottosuolo di un'area periferica di Quartucciu, destinata nel piano urbanistico della città alle attrezzature e attività produttive, di circa 250 sepolture con corredi funerari di una necropoli risalente a un periodo compreso tra il III secolo a.C. e il V secolo d.C.
Un'intesa tra il Comune di Quartucciu e la Regione Autonoma della Sardegna ha siglato la volontà di conservare la testimonianza del sito archeologico, e di consegnare alla città un centro culturale, annesso a un ampio parco, con il fulcro immaginato attorno ad un museo archeologico fondato per conservare i reperti provenienti da Pill’ è Mata.
In una realtà predominata da capannoni produttivi, a un’eventuale ‘casa di protezione’ degli scavi spettava anche il ruolo di landmark, pertanto l’intuizione progettuale ha suggerito di far convergere la struttura ‘statica’ (l’impianto architettonico) con quella ‘metaforica’ (la suggestione immaginaria).
Il concetto è stato interpretato con la proposizione di due muri paralleli in pietra, in blocchi di grande dimensione posati a secco: un ordine gigante sia per il taglio dei massi sia per le iscrizioni scolpite nella pietra (inscindibili e intrinseche all’architettura), che alludono, soprattutto per la loro decomposizione, a un frammento ricomposto di un monumento ritrovato, piuttosto che a un tetto di protezione, comunque privo di attinenza tipologica alla necropoli.
In corrispondenza dell'incrocio stradale, tra i due muri di pietra, è incuneato un volume monolitico rosso sfaccettato, ottenuto con una distorsione/esasperazione prospettica di un archetipo di 'casa', destinato allegoricamente a configurarsi come 'Casa degli Spiriti’.
L’accesso all’interno della struttura è proposto ridotto a un varco essenziale.
Il vuoto del passaggio è sostenuto da un architrave in acciaio Cor-ten, che “sottolinea” al contempo il toponimo scolpito nella pietra e annuncia cosi l’introduzione di un materiale contemporaneo.
In lamiera Cor-ten sono realizzate anche due passerelle all'interno, lungo le due pareti di pietra, che corrono sollevate dal piano del terreno dando l’impressione di fluttuare sull’archeologia.
Per garantire un percorso di visita anulare, i due camminamenti sono uniti da un “ponte”, il cui l’attraversamento accresce il senso di complessità della visita.
A questi sono attestati due slarghi - uno corrispondente all’ingresso, e l’altro, contrapposto, all’esterno, e raggiungibile direttamente anche dal piazzale del parcheggio - entrambi dimensionati per permettere la sosta di più gruppi in contemporanea, utilizzabili eventualmente come spazio laboratorio per l’attività didattica. Su una parte delle sepolture recuperate, il progetto ha previsto la ricostruzione di un cantiere di scavi, con la messa in scena dei mezzi, delle metodologie e delle operazioni utilizzate dagli archeologi.
L’interno della struttura è tenuto piuttosto cupo, con degli squarci di luce che penetrano dalle due contrapposte testate dello spazio, mentre gli scavi sono illuminati con raggi di luce scenografica naturale, proveniente da captatori e conduttori di luce esterna, compensata da proiettori a ioduri che mantengono il concetto illuminotecnico. Il microclima dello spazio è naturale: estrattori nella copertura assicurano un ricambio costante dell’aria, mentre gli spessori delle pareti e in particolare l’isolamento della copertura con il tetto vegetale, o verde (che fa parte del concetto architettonico di sviluppo sostenibile), contengono gli sbalzi termici.
Il piazzale e l’area del parcheggio sono illuminati da una solitaria torre faro, alta 12 metri a luce indiretta, una forte presenza che svetta alta sul territorio, oltre che per l’effetto illuminotecnico, col valore di un indicatore.
Il progetto del verde, in coerenza con i concetti generatori del progetto architettonico, è attento all’allegoria e ai significati figurati: il cipresso, contrapposto all’ingresso, appartiene con il proprio immaginario culturale al lutto, al luogo della sepoltura e con questo alla necropoli, così come lo è il mirto (murta), oltre al rosmarino (romasinu), il timo (armidda, tumu) e altri arbusti utilizzati nell’area, intrecciati nell’iconografia e sinonimi per i profumi del mediterraneo e i suoi miti.
xxspecialfeature:italianmuseumsxx