Lastre
Opera in travertino realizzata ed esposta per la mostra Origine curata da Luca Porqueddu.
Immagini di "Lastre" nel quadriportico della Basilica di San Clemente a Roma dal 20 aprile al 22 maggio 2016.
Creature del sottosuolo hanno popolato il quadriportico di San Clemente per più di un mese.
Depositi calcarei sepolti per millenni sono, per un breve periodo, emersi nel silenzio del chiostro del quarto Papa della Chiesa. Come le spoglie del Santo riaffioravano lentamente dalle acque del mar Nero, così questi corpi sono sembrati ricomparire sul lembo di terra antistante il convento domenicano.
Cetacei lapidei analoghi a corpi riconsegnati dalla marea, essi ci hanno presentato la pietra tiburtina in forma di murature distese, assecondando la volontà curatoriale di orchestrare, all'interno del quadriportico, quattordici differenti equilibri tra statica ed estetica del costruire.
Lo splendido dialogo tra le bianche sagome del travertino e le colonne di spolio in granito, stagliate sulla penombra dei portici, ha caratterizzato le ore di luce nel chiostro durante la mostra.
All’interno di questa mirabile scenografia, “Lastre” ha voluto evocare la bellezza naturale dei banchi di Tivoli che si confronta con la terribile estetica del taglio delle macchine a disco.
“Lastre” era disposto sull’asse principale della Basilica, lungo una retta che congiungeva l’antico accesso orientale del quadriportico all’entrata in chiesa.
Da lontano, la sua forma sembrava assumere le fattezze di un reperto bellico, un blocco scheggiato simile a un bunker di cemento conficcato su una linea difensiva, il limite tra quel piccolo microcosmo che è la Basilica e la caotica città all’esterno di essa.
Più vicino, a riempire totalmente gli occhi, flutti inquieti solcati da astratti meridiani restituivano un’immagine fredda e livida dell'opera, che si stemperava solo quando il sole, nel pomeriggio, ne strappava via i chiaroscuri per ospitare ombre e luci più nette.
Con il passare dei giorni, le opere si facevano sempre più bianche. Solo l’umidità delle notti primaverili ridonava a ciascuna installazione, seppur per poche ore mattutine, le trame brune degli ossidi che per millenni avevano incorporato al proprio interno.
La cosa più commovente della mostra è stata vedere come, durante le settimane, i fili d’erba germogliati tra i basoli del selciato del quadriportico siano cresciuti a ridosso del perimetro di “Lastre” come delle altre installazioni.
Una volta smontate tutte le opere, il chiostro aveva registrato le impronte di ciascuna muratura, un’ultima memoria che scompariva poco a poco, con il lento tornare dell’erba a ricoprire tutto.
Tempo dopo, ripensando a quell'immagine, mi è tornato in mente una frase che avevo letto in precedenza su un libricino di Ettore Sottsass, che più o meno recitava così:
“Son sicuro che ci sia un paradiso di prato infinito per i fili d’erba cresciuti tra la pietra”.