“Egli disponeva i cieli e poneva un cerchio sulla superficie dell’abisso”
Proverbi, 8, 27
“Prese l’aureo compasso
che custodito nel tesoro eterno
Dio si stava a circoscrivere questo
ampio universo e quanto in lui si racchiude.
L’un piè fe’ centro e per la vasta oscura
profondità l’altro aggirando disse:
“Fin qui ti stendi: ecco i confini tuoi
la tua circonferenza è questa o mondo”.
Così il Ciel cominciò, così la Terra materia informe e vuota...”
Milton J., Il Paradiso Perduto, Londra, 1667
«Colui che volse il sesto
allo stremo del mondo, e dentro ad esso
distinse tanto occulto e manifesto»
Dante, Paradiso, 19, 40-42
L’obiettivo che il progetto si propone è quello di accentuare il ruolo di cerniera sociale a cui Piazza San Rufo può ambire e, al tempo stesso, enfatizzare il ruolo che questa può assume nel contesto istituzionale, in quanto centro d’Italia, dove baricentricamente esso è individuato nella figura dello stivale.
Attualmente infatti, questa testimonianza è palesata attraverso un monumento rappresentato da una base di una colonna inserita in maniera apparentemente casuale nell’invaso.
Inoltre la piazza stessa è priva di quei servizi che sarebbero in grado di renderla un centro magnetico sia per gli abitanti della città, che per i turisti.
L’invaso in cui si sviluppa è uno spazio di elevata qualità plastica, che rappresenta un attimo di respiro nel tessuto storico sul quale insiste la Chiesa di San Rufo, e che, nelle geometrie sghembe e nelle variazioni di facciata, esprime l’equilibrio del dinamismo di forme eterogenee, che già di per sé sarebbero sufficienti a rappresentare le diversità di cui la nostra nazione è caratterizzata, e la maniera in cui è possibile farle coesistere tra loro.
Indipendentemente da queste considerazioni di carattere analitico, ciò che sicuramente manca alla piazza è lo spazio delegato alla socializzazione, essendo priva di aree per la sosta, a meno della panca di palazzo lungo la facciata della chiesa.
A questa esigenza il progetto risponde attraverso la realizzazione di due elementi che assumono primariamente un valore simbolico e che vogliono rappresentare contemporaneamente il concetto di “centro” (d’Italia), e quello di “unità” (d’Italia).
Il centro riporta all’immagine del cerchio che fisicamente si identifica in un punto, “uno immoto”.
L’idea del centro è figurata per mezzo di due compassi (è possibile anche interpretarli come una squadra e un compasso) in quanto strumenti di puntamento e misura di tutte le cose.
Per mezzo dei compassi, si racconta che Dio abbia disegnato le geometrie dell’Universo, iniziando l’opera di divisione dello spazio che poi è divenuta una delle principali attività dell’uomo.
Il concetto di unità è interpretato attraverso il suo opposto, la frattura, rappresentata da un solco, che è quello che si genera nella contrapposizione dei due compassi, ed attraverso il quale si intravede uno scavo archeologico romano.
Questi due elementi in pietra sono delle sedute ma in realtà vogliono essere dei confini, presentano geometrie variabili e, a memoria di una genesi, sembrano nascere dalla stessa terra.
Sono dei confini, ma primariamente delle sedute ed il loro posizionamento consente di avere degli spazi di relazione che prediligono dei punti di accumulazione dove sia possibile guardarsi in faccia, mentre si parla, diversamente da quanto avviene di solito stando su una panchina lineare.
La loro configurazione comporta una virtuale divisione della piazza, generando dei confini appunto, in quattro settori che pur mantenendo la loro unità, suggeriscono diversi ambiti funzionali.
Lo spazio davanti alla chiesa si riappropria di una forma geometrica di tipo romboidale semplificando le molteplici fughe prospettiche che gli edifici definiscono e di cui si nutre il vuoto urbano.
Le linee invisibili sui lati corti, oltre ad identificare uno spazio di pertinenza dello stare (visualizzato dal triangolo che virtualmente la seduta genera), determinano un corridoio, sempre virtuale, verso la facciata commerciale alla destra della chiesa. Ortogonalmente ad essa uno spazio cuscinetto mitiga il passaggio dalla sede carrabile alla piazza pedonale, anche per mezzo di dissuasori che ne tratteggiano il confine.
Si auspica, inoltre, un diverso utilizzo dello spazio pubblico da parte dei locali di ristorazione, spostando il baricentro verso la piazza, integrandosi con essa, aprendosi piuttosto che chiudersi con recinzioni che segnano una discontinuità anomala.
Questa semplice operazione libera così sia i percorsi lungo le facciate dei palazzi, sia, soprattutto, restituisce la giusta lettura dei prospetti degli edifici.