Astolfo
1.La parte di città che circonda la nuova sede della Provincia di Arezzo è una delle tante parti di città senza un volto per le quali ogni nome risulta eccessivo e inadeguato, quasi rifiutassero, prima ancora che questa o quella descrizione, la stessa possibilità di essere descritte, e quindi comprese e cambiate.
La garbata assenza di riconoscibilità di questi luoghi appare il risultato di una selezione naturale che ha privilegiato i tratti dell’imprecisione e del disordine. Sono luoghi prodottii da un sovrapporsi indifferente di scelte che rimangono sospese, per cui convivono accostati la casetta, l’orto, il luna park, la palazzina residenziale. Sono luoghi dove l’assenza di forma appare come condizione fatale e fatata, ineluttabile nel suo enunciarsi ed allo stesso tempo ricca di possibilità.
In questa situazione, l’obiettivo del progetto ci pare anzitutto essere la definizione di un edificio che possa misurare i luoghi che lo circondano: un oggetto capace, non tanto di sottrarre la città al suo incantesimo, ma di esporne le positive condizioni, senza accettarne la presunta ovvietà.
2.L’edificio che proponiamo per la nuova sede della Provincia di Arezzo occupa tutta la superficie individuata dal bando di concorso.
L’edificio è composto da quattro maniche di otto metri di larghezza, sviluppate su tre piani. Le maniche seguono con il loro lato esterno il perimetro del lotto e limitano all’interno un’ampia corte [cento metri per ottantuno]. Tutte le funzioni pubbliche [l’auditorium, gli spazi espositivi e l’accoglienza, la mensa ed il nido aziendale] si concentrano in un corpo all’estremità nord ovest dell’edificio. Qui si colloca la hall d’ingresso, affacciata su via Duccio da Buoninsegna.
La nuova sede della Provincia di Arezzo funziona come un tipico contenitore suburbano, cui si accede con l’auto. Tuttavia, dilatandosi fino ai margini del lotto, fino alle strade che lo circondano, l’edificio elimina il caratteristico carattere antiurbano di questi insediamenti. L’edificio evita di trincerarsi dietro un insuperabile anello di parcheggi, evita di nascondersi dietro anonimi giardinetti destinati ad essere disabitati. Il parcheggio è limitato all’area assegnata dal bando e non resta alcun equivoco spazio aperto da trasformare in parcheggio alla prima occasione.
La corte è usata come strumento semplice ed affidabile per la produzione di una condizione urbana [tanto al suo interno quanto al suo esterno], per realizzare il massimo di città con il minimo di volume costruito.
In un tessuto edilizio prodotto dalla addizione di nuove eccezioni a vecchie eccezioni, la sede della Provincia di Arezzo si sforza di individuare ed esporre una regola cui poter obbedire. In assenza di un’alternativa migliore, la semplice divisione dei suoli viene assunta come punto di partenza per la produzione di una città meno incomprensibile. Estendendo l’edificio sino ai confini del lotto che lo contiene, si riduce la distanza che separa gli oggetti incomunicanti che formano questa parte di città: la città si avvicina. Per quanto chiuso , l’edificio è presente nella città, non si sottrae al luogo che lo ospita, si affaccia responsabilmente su di esso. Esponendo la sua necessaria chiusura, l’edificio si apre.
3.La nuova sede della Provincia di Arezzo non ha alcuna possibilità di definire uno spazio pubblico aperto nel contesto in cui è posta: non solo questa parte di città non ha la densità sufficiente a dare senso ad una piazza, ma non è nemmeno possibile immaginare un uso per uno spazio pubblico aperto in questo contesto. Non è possibile illudersi che una piazza in questa situazione risulti altro che desolante. Evitiamo di proporla: in una parte di città che non prevede l’esistenza di spazi pubblici, la loro spettrale evocazione non può che generare luoghi di nessuno, alieni tanto alla città quanto ai suoi abitanti.
Al contrario proponiamo di organizzare la nuova sede della Provincia di Arezzo attorno ad una grande corte. Invece di definire uno spazio ostentatamente pubblico, carico di attese quotidianamente deluse, proponiamo la realizzazione di un luogo più modesto, di cui sia possibile fare un uso ordinario, ma capace anche di accogliere situazioni esplicitamente pubbliche. La corte può diventare all’occasione una vera piazza, la piazza dentro la sede della Provincia.
La corte va intesa anzitutto come spazio dell’edificio, luogo a disposizione degli impiegati della Provincia, tuttavia essa è facilmente accessibile a tutti e le sue dimensioni esplicitamente urbane ne suggeriscono un uso pubblico. La corte può ospitare alcune manifestazioni, o semplicemente offrire un luogo quieto ed ampio dove sostare. La corte si offre pudicamente come sfondo al susseguirsi di scene di vita quotidiana: dei tavolini spostati all’aperto, un partita a pallone, la chiacchiera pigra tra colleghi nella pausa caffè.
La grande corte definisce una condizione urbana esplicitamente artificiale, uno spazio pubblico in vitro, troppo debole per essere realmente abbandonato da solo nella città che lo circonda, eppure del tutto dedito alla sua trasformazione. In assenza di una città con cui collaborare, l’edificio produce la pressione e la chiarezza necessarie ad allevare il vuoto; in assenza di un paesaggio in cui inserirsi, l’edificio si costruisce il suo spettacolo da solo.
4.La principale qualità della nuova sede della Provincia di Arezzo è l’ampiezza [per un confronto dimensionale con noti esempi, si veda il diagramma]. L’edificio è sorprendentemente grande, generoso. La corte definisce un paesaggio largo, non immediatamente consumabile, una estesa riserva di possibilità rigorosamente non enunciate.
La corte non è solo il luogo degli avvenimenti minimi che riguardano ogni impiegato: il luogo dei possibili incontri, delle pause, delle sigarette, delle telefonate al marito o all’amante, ma anche lo sfondo, il paesaggio su cui affaccia ogni ufficio, il palcoscenico ampio su cui si ripetono gesti tanto banali quanto misteriosi. La corte attribuisce agli spazi del lavoro l’ampiezza che così spesso, e così immotivatamente, è loro negata. La corte infatti è fiancheggiata, ai tre livelli, da un ampio corridoio, che dà accesso agli uffici. Siccome le partizioni interne sono sempre trasparenti, ogni ufficio è aperto sullo spazio centrale.
La qualità degli spazi della nuova sede della Provincia di Arezzo dipende in larga misura da questa scelta distributiva. Contrariamente alla stragrande maggioranza degli edifici per uffici in Europa, in cui un corridoio centrale claustrofobico, solitamente pervaso da una sinistra luce al neon, dà accesso a due serie di stanze indecifrabili ed impenetrabili, la nuova sede della Provincia di Arezzo prevede corridoi affacciati direttamente sulla corte. I corridoi sono illuminati naturalmente e offrono la vista della corte. I corridoi hanno dimensioni che consentono la sosta, lo scambio di informazioni, le inutili e piacevoli conversazioni che si usano davanti ai distributori automatici.
La scelta dell’impianto distributivo è certamente la questione decisiva per la qualità finale degli spazi. Per quanto poco appariscente, la decisione di non rassegnarsi a ripetere ancora una volta il corridoio cieco soffocato tra gli uffici, definisce una condizione radicalmente innovativa per tutti gli uffici. Le maggiori spese che inevitabilmente derivano da questa scelta sono ampiamente giustificate dal risultato.
5.La corte è interamente pavimentata con una gomma naturale e sintetica di colore blu. Sul blu è tracciata in bianco una mappa della luna. La mappa è falsa.
6.Al suo interno l’edificio è estremamente ripetitivo, gli uffici sono tendenzialmente identici. Ogni piano è definito dalla continuità di pavimento e soffitto, resi tra loro omogenei dalla ripetizione degli elementi tecnici necessari alla flessibilità dello spazio lavorativo [luci, sedi di montaggio delle partizioni, impianti anticendio, prese di corrente]. Il muro esterno è una parete di armadi, dove si concentrano tutti gli impianti e che si compone per moduli. La mappatura tecnica è invariante di piano in piano e costituisce lo sfondo per le trasformazioni degli uffici. Ogni ufficio è definito da partizioni modulari in vetro, che si possono riposizionare in relazione alla mappatura a pavimento e soffitto.
Se una rigorosa monotonia è facilmente spiegabile a partire dalla semplicità dell’impianto distributivo e a partire da ovvie considerazioni di carattere economico, non ci pare possibile, al di là del fascino spartano di una simile soluzione, immaginare che gli uffici siano tutti uguali e tutti trasparenti. Per ovviare a questi problemi, fornendo contemporaneamente identità ai differenti dipartimenti e riservatezza agli impiegati, proponiamo di usare differenti tipi di tende. Ad ogni dipartimento viene associata un’insegna. I colori e le insegne forniscono un’immagine riconoscibile che si sovrappone all’assoluta neutralità dell’architettura. Quando i dipartimenti vengono spostati o riorganizzati basta spostare i mobili e cambiare le tende.
7.La tipologia elementare dell’edificio consente di immaginare una realizzazione per fasi successive. Le differenti maniche potranno essere costruite indipendentemente, usando i fondi disponibili al momento.
L’edificio è estremamente facile da usare e, al limite, da trasformare. Le risorse investite per realizzare l’edificio verranno così investite nella costruzione di qualcosa di esplicitamente pensato per durare e comunque per essere facilmente trasformato [non tanto perché in astratto gli edifici debbano durare in eterno, ma perché sarà sempre più costoso demolirli, sempre più insostenibile portare le macerie in discarica]. Con la stessa facilità con cui è stato possibile mutare i conventi e le caserme in ospedali ed uffici, sarà possibile trasformare la nuova sede della Provincia di Arezzo in nuovi conventi e nuovi manicomi e nuove case da gioco.