“E’ un sogno entro un altro sogno, vario nei particolari, unico nella sostanza. Sono a tavola con la famiglia, o con amici, o al lavoro, o in una campagna verde: in un ambiente insomma placido e disteso, apparentemente privo di tensione e di pena; eppure provo un’angoscia sottile e profonda, la sensazione definita di una minaccia che incombe. E infatti, al procedere del sogno, a poco a poco o brutalmente, ogni volta in modo diverso tutto cade e si disfa intorno a me, lo scenario, le pareti, le persone, e l’angoscia si fa più intensa e più precisa. Tutto ora è volto in caos: sono solo al centro di un nulla grigio e torbido, ed ecco, io so che cosa questo significa, ed anche so di averlo sempre saputo: sono di nuovo in lager, e nulla era vero all’infuori del lager. Il resto era breve vacanza, o inganno dei sensi, sogno: la famiglia, la natura in fiore, la casa. Ora questo sogno interno, il sogno di pace è finito, e nel sogno esterno, che prosegue gelido, odo risuonare una voce ben nota; una sola parola, non imperiosa, anzi breve e sommessa. E’ il comando dell’alba in Auschwitz, una parola straniera, e temuta e attesa: alzarsi, “wstawac”” Primo Levi
La piazza è quasi quadrata. Lungo una delle sue diagonali sono stati realizzati due canali di areazione alti 5.50 m, lunghi 20 m e larghi 2.50. Una linea netta attraversa lo spazio e lo divide. Al centro della piazza, improvvisamente, si interrompe per riprendere poco dopo. La linea arriva, scompare e poi riappare continuando il suo cammino indifferente, costante. Lo spazio intorno è risucchiato da questo vuoto, dove l’assenza diventa più forte della presenza. Qui si colloca il memoriale.
Un insieme di lastre in ferro si dispone all’interno dello spessore lasciato libero. Le altezze sono differenti e differenti sono le giaciture. I grandi piani si alzano e ruotando cercano una posizione. In questo passaggio tutto è distorto. Le pareti sono ricoperte da uno strato di bitume compatto e poi graffiato. Il bitume è colato anche sul pavimento e lungo gli spessori verticali delle areazioni. Come una materia viva, inonda lo spazio. Il colore è nero, denso e profondo. Non ci sono incisioni, messaggi o simboli. Le lastre non spiegano nulla. Come pietre tombali sono lì per ricordare. Alzandosi, dichiarano la loro presenza affinché nessuno dimentichi.
Il progetto prevede la realizzazione di 14 steli costituite da un telaio in ferro al quale sono fissate due lastre di ferro dello spessore di 10 mm. Le steli, di altezza diversa ma mai superiore a quella dei canali di areazione, sono collegate le une alle altre formando cinque gruppi distinti e autoportanti. 9 cilindri, anch’essi in ferro, del diametro di 120 mm assicurano una lastra all’altra. Tutte le lastre sono irrigidite da una serie di contrafforti in ferro di dimensioni più ridotte che garantiscono la stabilità del sistema che non prevede fondazioni.
Tutto il resto della piazza viene lasciato intatto.