Le città producono scarti.
Luoghi dimenticati, residui nei quali la natura si insinua con tenacia. Spazi instabili dove i rapporti tra naturale e artificiale assumono uno statuto diverso. Queste aree somigliano poco ad un luogo naturale da proteggere. Sono piuttosto un luogo segnato da un’imperfezione originaria, dove le evoluzioni sono rapide, gli incontri tra le specie frequenti, gli squilibri ricorrenti, l’indecisione sovrana. Rappresentano un’opportunità.
In questi territori trovano spazio specie che altrove sono respinte. Spesso i residui derivano dall’abbandono di un’attività. Essi evolvono naturalmente verso un paesaggio “secondario”. Le specie pioniere li occupano a cicli rapidi. Ognuna prepara l’arrivo delle successive. Perché possano installarsi occorre un terreno nudo, privo di concorrenza. Piante nomadi si alternano a piante vagabonde che muoiono in un luogo per rinascere uguali a pochi metri di distanza.
Il paesaggio secondario è ovunque , lungo le strade, nelle aree industriali abbandonate, ovunque l’uomo sia assente. In questi luoghi, alla contrapposizione tra città e paesaggio si sostituisce una contrapposizione più articolata, quella tra spazi gestiti e spazi non gestiti dall’uomo.
Siamo ai margini di Roma, su un viadotto ferroviario abbandonato. Una recente dismissione ha prodotto una terra di confine dove la distinzione tra città e non città è sempre più difficile da tracciare. Su di esso poggiamo un edificio elementare, fermo in uno stato di attesa (tutto è ancora possibile o forse tutto è già stato possibile…). Un tetto sostenuto da una foresta di pilastri. Una struttura generica, travi, pilastri e un guscio. All’interno, porzioni di piani stabiliscono minime regole di occupazione. Uno spazio intermedio in cui esterno ed interno si fondono. Puoi attraversarlo ma non devi toccare il suolo. Questo è lasciato libero all’occupazione naturale. Semi e spore portate dai venti disegnano un paesaggio che possiamo solo osservare. Luce e pioggia possono entrare liberamente. Un luogo fatto per osservare. Come nello Stalker di Andreaij Tarkovskij avrai bisogno di una guida per attraversarlo.
Non c’è distinzione di specie. Esso rappresenta un territorio di rifugio per la biodiversità. Non accetta regole che non siano le sue. Non è bello, semplicemente è. L’edificio serve a rendere visibile questo paesaggio. Isolandolo permette che questo si manifesti. Nel suo farsi in forma di casa esso accoglie e protegge.
Le città producono scarti, luoghi dove non conviene avventurarsi.
Hic sunt leones.