NUOVO CENTRO CIVICO INTEGRATO. TRAVACO' SICCOMARIO
Concorso di Idee per la realizzazione del nuovo Centro Civico Integrato
…”ogni regione si distingue dalle selvagge in questo, ch’ella è un immenso deposito di fatiche (1). Quella terra adunque per nove decimi non è opera della natura; è opera delle nostre mani: è una patria artificiale.” (Carlo Cattaneo)
La città e le campagne diventano, senza distinzione, la cosa umana perché sono opera delle nostre mani; ma in quanto cosa costruita e patria artificiale esse sono anche la testimonianza di valori più profondi, sono permanenza e memoria. La città è e diviene nella sua storia.
Prima della città ci sono le cascine (2). Esse sono l’origine e la memoria di Travacò. Un tempo il limite tra la città e la campagna era chiaramente definito. Le mura della cascine bastavano a segnare la separazione tra ciò che era dentro e ciò che era fuori. Nella loro semplicità esse stabilivano una regola assoluta che non dava spazio alle interpretazioni. Come piccole fortezze, le cascine stabilivano con chiarezza il loro dominio. All’interno delle loro mura si organizzava una intera comunità in forma urbana. La costruzione di questa città in miniatura non era considerata solo una questione di tecnica ma anche un problema d’arte nel senso più preciso e nobile del termine. Limiti e gerarchie erano facilmente leggibili all’interno di questo organismo che si presentava come un insieme concluso ed ordinato(3)
Oggi la costruzione e la crescita delle città sono diventate delle questioni puramente tecniche. La città moderna non ha più bisogno di confini e, nel suo farsi, ha perso memoria dei suoi limiti. Lo stesso sistema di crescita appare ormai determinato più da parametri quantitativi che qualitativi. I confini moderni non hanno più carattere e si sono trasformati in luoghi ambigui e di non facile comprensione.
Stabilire la linea dove la città termina ed inizia la campagna è sempre più difficile. In questa situazione, il progetto di un centro civico sul confine esterno di un piccolo paese diventa l’occasione per una riflessione più ampia sulla natura sempre più complessa del progetto di architettura.Il nuovo centro civico di Travacò nasce su un confine. La localizzazione appare poi ancora più complessa per il fatto di essere assolutamente decentrata rispetto allo sviluppo del paese.
Questa condizione di limite impone al progetto scelte precise.Il confronto-scontro tra campagna e città, tra ciò che sta dentro e ciò che sta fuori ha condizionato l’intero progetto. Il nuovo centro civico conclude e delimita. Verso le campagne stabilisce un limite chiaro, mentre si apre generosamente verso il centro del paese.
Se la disposizione planimetrica rimanda allo schema delle cascine a corte aperta, lo sviluppo verticale lavora sull’immagine del palazzo di città.
In questa dualità ed in questa ambiguità il progetto cerca la sua forza e la sua regola. La disposizione a corte permette la creazione di un giardino di betulle aperto verso il parco e la chiesa. Paradossalmente, la corte si apre verso il paese e non verso la campagna, ribaltando uno schema consolidato. Questo modo di introdurre una regola per poi sovvertirla informa gran parte delle scelte progettuali. Il giardino è il cuore del progetto. Intorno ad esso si dispongono i tre edifici che compongono il centro civico. Essi accolgono gli uffici comunali, la sala polivalente e la biblioteca. I tre blocchi si sviluppano sui limiti del lotto utilizzando la sezione tipica delle cascine. Sui prospetti, le finestre sono incorniciate da ampie strombature. Nella fase di progettazione, il disegno del piano verticale è diventato sempre più complesso.
La facciata finale è composta da un affollamento di finestre in cui si riscontrano due ordini diversi: il perimetro delle strombature che allude ad una geometria astratta e i rettangoli vetrati delle finestre, frutto delle necessità dell’interno. In questo modo il piano facciata ondeggia all’interno della composizione di finestre accatastate,nel contempo uguali e diverse, che non rispondono alla domanda se il perimetro esterno sia anteriore al sovrapporsi delle bucature o se sia generato da quest’ultimo. Il tipo della casa di campagna e quello del palazzo di città si fondono sulla superficie verticale degli edifici trasformando la corte in un accogliente salone urbano a cielo aperto.Nessuno dei due è in grado di prendere il sopravvento sull’altro. Essi instaurano un delicato equilibrio lungo una ipotetica linea di confine . Il piano verticale diventa esso stesso confine ed campo di battaglia. La facciata è una maschera scenografica concepita come artificio urbano. Le finestre sono disposte una accanto all’altra come un ritratto di famiglia (4) simili ai profili cangianti delle nuvole. Le generose strombature introducono il tema del chiaro scuro e del passaggio del tempo mentre l’intero complesso cerca una sua collocazione temporale e spaziale più profonda. L’uso del colore ha ulteriormente accentuato il contrasto tra i due sistemi. Le strombature, realizzate con pannelli in GRC, hanno il colore del mattone. Nel loro sviluppo, l’aspetto sontuoso dovuto alle loro dimensioni entra in competizione con la forza del colore che rimanda alla semplicità delle lunghe facciate delle fattorie. Una serie di fotografie di Mario Giacomelli (5) ha condizionato il disegno del piano orizzontale. La memoria dei campi arati, così potente nelle immagini del fotografo, è stata il punto di partenza di un disegno che si è gradualmente strutturato. Allo stesso modo, il disegno dei nuovi infissi è stato sviluppato partendo dall’osservazione delle tessiture dei campi agricoli che circondano Travacò. Un’architettura o un gruppo di architetture devono essere vissute con lo stesso interesse della città; chi le abita, chi vi lavora all’interno, ha la possibilità di incontri imprevisti. In bilico tra una cascina ed un palazzo di città il centro civico emerge segnando il limite tra il costruito e la vastità della pianura. Esso si impone come confine e come porta tra la città e la campagna. La città è un fatto eminentemente collettivo; essa si precisa in quelle opere la cui natura è essenzialmente collettiva .e tali opere, che nascono come mezzi per costituire la città, diventano presto uno scopo. E questo scopo diventa il loro essere e la loro bellezza. una bellezza che risiede ad un tempo nelle leggi dell’architettura e a un tempo nella scelta per cui la collettività vuole queste opere. Lo stesso principio può applicarsi alle campagne.
Vidal de la Blache ha scritto che: “la brughiera, i boschi, i campi coltivati, le zone incolte si fissano in un insieme inseparabile, di cui l’uomo porta con se il ricordo.”
In questo “insieme inseparabile” sta il centro civico, patria un tempo naturale, un tempo artificiale dei cittadini di Travacò Siccomario.