Stabilimenti e uffici della manifattura Ceramica Pozzi-Ginori a Sparanise
[...] A partire dal 1960, negli anni della pienezza economica, quando gli architetti rivestono un ruolo essenziale nella programmazione e nella direzione dei cantieri industriali, le aziende di punta investono a sud, attraverso un'efficace riconversione delle piane agricole in siti produttivi. A un secolo di distanza dall'unità d'Italia si riannodano i fili di un discorso interrotto, segnato dalla prima industrializzazione in epoca borbonica, che aveva già sperimentato le potenzialità dei territori casertani, oltre l'agricoltura. Insieme a un nuovo concetto di fabbrica ed a una più attenta politica del lavoro, si importano nel mezzogiorno le ricerche spaziali della scuola lombarda.
Il primo progetto insediativo del 1962 è promosso dalla Pozzi-Ginori nella piana di Sparanise, presso Capua. A Luigi Figini e Gino Pollini è affidato il compito di realizzare un complesso di vaste dimensioni, in cui collocare gli stabilimenti per la produzione di laminati e calandrati plastici, di ceramiche e di vernici. Gli echi delle archeologie di Santa Maria Capua Vetere e di Calvi, il contatto diretto con l'Appia antica, la vicinanza del Volturno caricano il disegno complessivo, di oltre ottocentomila mq, di significati che esulano dal puro funzionalismo. Figini e Pollini realizzano qui l'anticittà auspicata nei loro scritti. [...]
[...] Appena oltre il trilite di ingresso, il primo a rompersi sotto i nostri occhi è l'edificio per uffici. Una grande scala al centro della facciata ci invita a entrare nella scatola, a esplorarne il contorno. Eppure una volta saliti, lungo il perimetro del ballatoio, il percorso, in apparenza calmo e coerente, si frantuma in una serie incontrollata di effetti dirompenti, segnati dallo zigzagare dei corrimano in cemento, dalle improvvise fughe verso il basso dei tagli squadrati nel solaio, dal ritmo indecifrabile di finestre e porte-finestre, dalle ombre lunghe degli aggetti superiori. Il rosso artefatto dei cementi si mescola al grigio degli infissi metallici, all'ocra delle pietre e dei legni, al verde dei cipressi tutto intorno. [...]
[...] Nelle dicotomie tra interno/esterno, grevità/leggerezza, materia/ombra, realizzano un modello ideale di fabbrica in cui la natura non fa da sfondo ma rappresenta, piuttosto, la necessaria estensione del costruito. Quasi come se la rudezza dei cementi, la stereometria dei capannoni, la grande dimensione strutturale, si spegnessero nella complicanza dei tracciati ricavati entro il verde preesistente, nella irregolarità della fitta alberatura, nei pezzi di foresta conservati. «Una sorta di traiettoria del linguaggio» secondo la lettura di Gregotti «verso la complessificazione degli elementi e della stessa geometria regolatrice della pianta, anche se non mancano accenti in cui la verità dei materiali e delle forme si esprime con la semplicità brut del cemento armato a vista che sembra volere accentuare i caratteri costruttivi degli elementi compositivi come caratteri di verità». [...]