Da Duchamp a Cattelan
Arte contemporanea sul Palatino.
In mostra dal 28 giugno al 29 ottobre 2017. A cura di Alberto Fiz.
La rassegna, divisa in tre sezioni, presenta grandi installazioni, di forte impatto visivo, e inoltre sculture, stendardi, fotografie, dipinti e opere su carta di artisti provenienti da 25 diverse nazioni. Al carattere più intimista che connota i due nuclei dedicati ai Ritratti e alle Mani collocati nel peristilio inferiore della Domus Augustana dove sono presenti autori quali Marina Abramović, Richard Long, Bruce Nauman, Giulio Paolini, Giuseppe Penone e Barbara Kruger, e alle installazioni appositamente realizzate in situ, fa da contraltare il confronto, spesso ironico e provocatorio, con la monumentalità del Palatino.
Lo spettatore viene accolto da una quotidianità che appare straniante con la Nuvola in tulle rosa di Denis Santachiara, bloccata in un arco dell’acquedotto Claudio, a pochi passi dagli ombrelloni fuori misura di Mario Airò. La “spiaggia” appare al centro del Palatino, quasi si trattasse di un Capriccio settecentesco con i soggetti della pittura che assumono una nuova tridimensionalità. Tra le maestose arcate severiane la Diagonale Palatina in ferro zincato di colore rosso pompeiano, alta 25 metri e realizzata da Mauro Staccioli, si insinua nel contesto archeologico sviluppando una prospettiva del tutto inedita.
Il percorso che conduce allo Stadio Palatino è contrappuntato da 15 stendardi d’artista (Vanessa Beecroft, Wim Delvoye, Alberto Garutti sono alcuni degli autori) di 3 metri d’altezza. Manipolano i simboli del potere e delle ideologie. Procedendo tra le imponenti Arcate Severiane, si scoprono altre installazioni. In una nicchia troneggia il grande vaso per lo zenzero di Allan McCollum, una forma che evoca l’archeologia in chiave postmoderna, un finto reperto che si mimetizza alla perfezione tra i resti romani. In cima al percorso, si affacciano sul paesaggio le due navicelle spaziali di Christian Philipp Müller che ricordano il mitico incontro nello spazio datato 1975 tra Russia e America (Apollo e Sojuz), un avvenimento storico avvolto nella leggenda.
Giunti allo Stadio Palatino tre grandi architetture attraggono l’attenzione del visitatore: Luogo di raccoglimento multiconfessionale e laico di Michelangelo Pistoletto, un tempio delle culture e delle religioni; After Love di Vedovamazzei, la pericolante villetta con tettoie sconnesse, finestre fuori posto e porte rialzate, estrapolata dal film di Buster Keaton One Week che metteva in crisi il modello della piccola borghesia. Tra le due, Gli occhi di Segantini di Luca Vitone, che ripropone l’atelier del maestro divisionista in un contesto straniante, tanto che si potrebbe pensare ad una pagoda orientale o ad un tempietto romano.
Molte altre le installazioni che contrappuntano lo Stadio. Remo Salvadori segna il passaggio del tempo realizzando una scultura di 9 elementi al centro di un antico accesso, luogo di passaggio e d’interferenza, mentre, poco più in là, si affaccia il rinoceronte in legno di Pierluigi Calignano, lontana eco di un’iconografia importata a Roma dopo la battaglia di Azio. In corrispondenza della tribuna orientale, la tenda alta 9 metri su cui Claudia Losi costruisce la sua personale Lascaux con sovrapposizioni di pesci, pipistrelli, orsi e balene. Ancora animali, con Paul McCarthy, il quale crea un cortocircuito provocatorio collocando tra le colonne spezzate della romanità il suo orso disneyano dai tratti antropomorfi.
Ma con la sua azione manda in frantumi ogni infantile desiderio d’identificazione. Sul fondo, tra gli antichi laterizi, fa la sua comparsa la tavola imbandita di Cai Guo-Qiang, che gioca con le nostre illusioni. Bottiglie e bicchieri sono sigillati in un contesto che trasmette la tradizione della cultura rurale cinese: un risciò e gli elementi di un party solo apparente. David Hammons dispone provocatoriamente una mola che si muove a 360 gradi macinando cemento: due lettori stereo diffondono musiche delle minoranze etniche americane e lirica italiana in un perfetto mix multirazziale.
Segna l’accesso verso il peristilio inferiore della Domus Augustana lo specchio calpestabile di Maurizio Cattelan che rispetta la sezione aurea e, come un telescopio rovesciato, reinterpreta il Palatino dal basso in alto con un’infinità di interferenze. Dopo aver attraversato il passaggio coperto ci si trova di fronte all’Archipensiero di Gianni Pettena, che contiene in sé la memoria del costruito. Una serie di profilati in ferro, disposti con apparente casualità, danno vita per anamorfosi all’immagine di un tempio classico che sparisce non appena l’occhio si distrae. Per un istante lo spettatore cattura una visione altrimenti dispersa.
Su un lato del peristilio inferiore si susseguono la Madonna del Miracolo di Gino De Dominicis e Vettor Pisani e il Nuovo tempio Capitolino di Ugo La Pietra, un omaggio ironico alle origini di Roma e alla sacralità del Palatino con una lupa smunta che non ha più latte per Romolo e Remo.
Se quasi appartati appaiono i Rotoreliefs di Marcel Duchamp, un lavoro in grado di anticipare l’optical art, su una grande pedana dal diametro di sette metri si dispone la cosmogonia di Mario Schifano, un dipinto scenico nato per accogliere gli attori.
Nelle nicchie una serie di altri lavori emblematici: l’installazione al neon di Joseph Kosuth, con parole cancellate a dimostrazione di quanto il linguaggio sia ambiguo; Cul-de-sac di Thorsten Kirchhoff, dove su tre grandi sacchi di juta addossati alle cassette di frutta appaiono le immagini in bianco/nero dei migranti, quasi a voler evocare il cinema neorealista. Poco più in là, ci si trova a tu per tu con Giuseppe, una scultura in terracotta di Sislej Xhafa che raffigura l’eroe dei Due Mondi con gli zuccherini in mano, ma senza più il suo cavallo. Completano la serie delle installazioni l’Uomo AVL di Atelier Van Lieshout, un reperto dell’alienazione, i dadi giganti di Gianluca Codeghini con luci, suoni e giochi di parole a cui si aggiunge l’amaca in fibra ottica di Nicoletta Freti e la città luminosa di Nino Calos. Sempre nella zona della Domus Augustana, due mostre nella mostra che hanno per tema l’identità (il Ritratto) e l’azione del fare (le Mani), con una eccezionale raccolta di opere tutte provenienti dalla collezione di Tullio Leggeri.
Il percorso si conclude sulle Terrazze Severiane, dove l’acquedotto Claudio sembra riprendere la sua antica funzione grazie alla piscina lunga 22 metri concepita da Anya Gallaccio, con una serie di forme organiche in movimento: sono limoni e arance che giocano con l’acqua.