Si decide di creare un recinto chiuso, un hortus conclusus. Uno spazio definito ma permeabile, leggero ma presente. Uno spazio orizzontale continuo messo in tensione da una struttura stereometrica contrastante, appesa che disegna spazi. L’aria, la morbida aria di Catania, è il materiale principale con cui si rigenera la desueta architettura. Il vento agita l’edificio come se fosse vivo, la luce occulta e svela le forme, elementi quotidiani del paesaggio si ricordano nel disegno delle finiture. Al suo interno si scopre il gioco segreto delle luci ed ombre, della leggerezza dei tessuti e della gravità degli archi, della morbidezza delle curve e della stabilità della struttura, della domesticità delle finiture e della collettività degli spazi. Elementi tanto semplici quanto precisi.
Incipit. L’architettura ha il compito di proteggere e valorizzare episodi urbani di spazi pubblici essenziali alla vita collettiva e al benessere di ogni cittadino. Gli interventi si possono definire invasivi oppure di dettaglio, minimi dunque a ricucire il luogo analizzato al sistema urbano che lo accoglie. Catania presenta una matrice urbanistica che ha subito trasformazioni varie, influenze romane rinascimentali e barocche, ma che mantiene però - come ogni città italiana e del sud - un’identità collettiva forte. Spazialità aperte che si manifestano come vuoti sul pieno della città costruita costellano Catania evidenziando una cultura comunitaria e di scambio. Il valore di Piazze, parchi o semplici vuoti urbani si esplica nella quotidianità che questi luoghi rappresentano. Oggi la dilagante anestetizzazione culturale sfocia in un’assuefazione al degrado che ci pone indifferenti alle condizioni reali di strutture o luoghi necessari a mantenere l’identità dei nostri quartieri.
Inserimento urbano. Lo spazio aperto di cui gode Piazza Lupo si innesta all’interno di connessioni sociali privilegiate; il passaggio verso il mare e la posizione all’interno della matrice storica di Catania basterebbero a renderla partecipe della complessità urbana. L’area di progetto è uno dei vuoti che rompono la monotonia dell’edificato qualificandosi come luogo di collettività.
La fabbrica abbracciata dalle tracce nette della viabilità e dalla trama differenziata di piazze e spazi verdi presenta una struttura disponibile ad essere permeata dal tessuto cittadino e popolare. Il disegno della città impone una riqualificazione di quest’area, conciliando il suo utilizzo di parcheggio, rendendo complementari le aree comuni interne con quelle esterne e quelle private. La mobilità dei flussi e la staticità dei fronti dei palazzi fanno si che la piazza diventi luogo di passaggio e di scambio ma allo stesso tempo di sosta e di abitazione. Recuperare la struttura come luogo di servizi e attività permette di porre al centro un elemento che faccia da connessione ma anche sistema stabile. Attraverso l’uso quotidiano dell’architettura si nega la possibilità di degrado e si valorizza l’identità del luogo. Il volume si deve aprire al contesto consolidato residenziale eliminando i confini ma allo stesso tempo definendo una sua matericità riconoscibile. Questo avviene disegnando linee di confine labili ma che risolvono i limiti dei servizi ed educano la fruibilità di tali spazi. Per questo si progetta un’illuminazione che delimita il livello più esterno, utile al decoro urbano ed alla protezione della fabbrica dal parcheggio delle auto. La sottigliezza di tali elementi dialoga con la levità del tessuto che riveste esternamente la struttura. Le tende come rivestimento verticale definiscono la massività della fabbrica in antitesi con l’inconsistenza della loro presenza. Il confine con la piazza viene marcato da un podio minimo che risolve la pendenza interna e da la possibilità di sedersi sia internamente che rivolti verso le abitazioni. Sul piano orizzontale la fabbrica si dichiara attraverso una pavimentazione molto disegnata che si estende dagli spazi caldi fino al limite dei tendaggi. Trasparenza e leggerezza trasformano l’edificio in un ambiente penetrabile ed accogliente recuperando caratteristiche di luoghi domestici e al contempo dichiarandosi come mimesi dell’identità mercato.
Funzioni. L’impronta progettuale si articola attorno all’uso dei beni comuni. La nuova architettura necessita di relazionarsi con attività di cooperazione e servizi alla residenza. L’emergenza di un tessuto sociale impoverito si trasforma in occasione architettonica proponendo un intervento definito dalla fruibilità e flessibilità degli spazi che rispondono alle esigenze di chi abita il quartiere. Ridefinendo l’area esterna, attraverso singoli elementi lineari di illuminazione, come ambito di collettività ed incontro si sviluppa un nuovo disegno urbano. La prima funzione è la piazza come luogo di passaggio e sosta, transizione tra l’abitare e i servizi; le tende elemento di schermatura che nell’evenienza possono diventare superficie di proiezione, delineano un anello comune di scambio dove poter organizzare eventi, esposizioni e coltivare l’essenze presenti. L’interno si presenta adatto ad attività artistiche, culturali, artigianali, ludiche e di relax. La presenza di un cafè autogestito dai residenti produce uno spazio collettivo di sosta, di comunicazione e di lettura; la biblioteca-libreria adiacente funge da ambiente culturale e di interscambio dove, come adesso, i libri vengo donati dalla comunità per essere al servizio della comunità stessa. A fianco si inserisce un’area polivalente dove l’artigianato e le sperimentazioni producono lavoro, collaborazioni ed innovazione. Infine uno spazio aperto si presenta adatto ad attività sportive, corsi, kindergarten; la palestra e le altre attività sono servite da spogliatoi e piccolo deposito. Nel blocco di testa opposto oltre ai servizi igienici, la cucina ed il magazzino si mantiene la centralina elettrica. La flessibilità dello spazio interno ed esterno permettono l’uso dell’edificio anche per ulteriori eventi come convegni, feste, presentazioni di libri o altre attività collettive. L’architettura definisce luoghi e di conseguenza li destina a funzioni, ma qui l’uso di tende che scorporano lo spazio aperto permette alla fabbrica di diventare un oggetto camaleontico in grado di omologarsi allo sviluppo della piccola società di quartiere.
Relazioni.Qui si abita si pensa si comunica si sperimenta e si ride.
Il progetto prevede una depurazione del fabbricato, dovrà sopravvivere solamente la struttura, cifra distintiva del carattere e dell’espressività architettonica originale. L’intervento disegna spazialità trasversali alle officine Lupo delineando una molteplicità di connessioni tra l’interno e i fronti dei palazzi. Si sviluppa una trasformazione radicale del soggetto architettonico; prima edificio introverso, poi attraverso il silenzio piacevole di materiali effimeri aperto al contesto consolidato. Il gesto architettonico delinea connessioni urbane con sviluppo orizzontale; la sintassi di layer verticali che compongono la nuova stratigrafia della fabbrica modella nuove spazialità che si intersecano tra di loro: c’è un’area interna quella multifunzionale (lavoro), c’è l’anello verde intermedio di spazio freddo ma coperto e schermato dalle tende (scambio) ed infine c’è la piazza ridefinita (sosta) caratterizzata dai fronti delle case (abitare). Le trasparenze proiettano i fronti delle abitazioni all’interno ed i servizi accolgono la cittadinanza; diversificando così le situazioni spaziali si aumentano le realtà sociali da condividere. L’introspezione velata che le varie trasparenze producono è stimolata dall’uniformità del rivestimento a terra che induce una diretta curiosità. L’immagine pura e leggera viene sporcata dalla massività degli archi. L’intenzione dell’intervento è quella di stimolare sinergie nella società attraverso la riconoscibilità di essa nell’immagine e nei materiali usati; il semplice rivestimento della pavimentazione in ceramica o l’uso di tessuto per i rivestimenti verticali o le essenze di verde che colorano lo spazio di interscambio possono essere oggetto di sperimentazioni ed auto-produzione nel segno della valorizzazioni delle tradizioni e dell’identità del luogo. Il disegno della pavimentazione ricorda i segni principali delle superfici urbane di Catania; la leggerezza dei tessuti caratterizza uno spazio sia domestico che di scambio; la struttura nera che protegge le funzioni interne ripercorre nella sua morfologia gli archi del lungomare e nella sua genesi le vecchie abitazioni sicule. L’architettura è l’artefice degli spazi, gli spazi sono i contenitori delle relazioni, le relazioni sono il vettore della rigenerazione del tessuto sociale.
Interni.Si tratta di uno spazio orizzontale con sviluppo longitudinale; la semplificazione dell’attuale palestra è facilitata dalla netta presenza dello scheletro industriale delle officine Lupo. Rifacendosi alla struttura originaria si configura uno spazio aperto flessibile ma ordinato. La pianta si conforma al passo regolare della struttura di 9 campate. Le due teste, in rapporto 1|2 tra loro, sono blocchi di servizio che fermano lo sviluppo longitudinale dello spazio. Nelle 6 campate centrali si organizzano gli spazi funzionali. Il vuoto risultante è risolto con un ponte arcato in legno verniciato di nero; all’interno si distribuiscono gli impianti ed i cablaggi. La sua morfologia è un ricordo esplicito agli archi di mare, architettura caratterizzante del lungomare catanese; la sua volumetria invece è la citazione della dicotomia pieno-vuoto risultante nel dammuso. I differenti archi di cerchio che disegnano la “copertura” delineano, ordinati rispetto al telaio della fabbrica, gli ambienti multifunzionali. La sinuosità e morbidezza, in addizione al rivestimento interno ondulato degli archi, rispondono ad un’esigenza di limitazione acustica necessaria in interni polifunzionali ed intercambiabili. La flessibilità è garantita da tende di cotone pesante che compartimentano in maniera lineare le funzioni a servizio dell’abitare. A contrasto di una volumetria pesante ma uniforme nella sua colorazione scura, il pavimento è rivestito da ceramiche luminose, disegnate e policromate, esplicito riferimento alla cultura artigianale siciliana. Il piano orizzontale in maiolica si estende attraverso gli infissi in vetro fino alle tende, ottenendo la continuità spaziale tra l’esterno e l’interno.La palestra si riveste di una composizione di tatami, consistenza adatta all'attività fisica e ludica. L’arredo in legno di rovere chiaro combina volumetrie geometriche riconoscibili, elementi in equilibrio con le rotondità e le trame elaborate presenti. La composizione armonica e limitata all’uso di tre materiali, descrive in maniera semplice uno spazio al limite tra il domestico ed il pubblico. Un contrasto piacevole dove potersi incontrare, comunicare ma soprattutto riconoscersi come cittadino di quel paesaggio. L’introspezione che le varie trasparenze producono è stimolata dall’uniformità del rivestimento a terra che induce una diretta curiosità su cosa stia succedendo all’interno.
Le soluzioni proposte tratteggiano una rigenerazione del sito senza mai perdere la misura del contesto; un atto di trasferimento delle identità del luogo in un’ipotesi di recupero e valorizzazione di un importante soggetto urbano.
L’intervento restituisce un’immagine alla piazza che non può più prescindere da un uso quotidiano. La scelta progettuale è un’iniezione di architettura, senza eccessi, contenuta, ma mirata alla riscoperta di un vuoto urbano.
Le scelte progettuali si sono concentrate nel realizzare un numero contenuto di interventi che andassero però a generare una elevata qualità spaziale. La semplicità ed economicità delle lavorazioni ha permesso quindi di scegliere anche materiali di pregio. Un’architettura di dettaglio che passa dalla depurazione di un organismo industriale anni 60 al rivestimento con più layer di un cuore pieno, simbolo centrifugo della condivisione e di un sistema dell’abitare da proteggere. Questo ambiente vuole essere la traduzione letteraria delle emergenze urbane che si trasformano in occasioni architettoniche. Come una sintesi, la più essenziale, dell’architettura contemporanea.