Palazzo del cinema di Locarno
Menade danzante vs Rock fascinator
Il progetto elaborato per il concorso mira a stabilire una stretta relazione/integrazione tra due ambiti di ricerca. Il primo si pone l’obiettivo di garantire, nella definizione delle scelte progettuali, una rigorosa aderenza al programma funzionale fissato dal Bando di concorso.
Il secondo interessa la costruzione di un’immagine architettonica evocativa che permetta all’organismo di assolvere un ruolo significativo all’interno delle dinamiche urbane, in corso e future, della città di Locarno. Il momento all’interno del quale queste due istanze, solo apparentemente antitetiche, trovano un loro momento di sintesi è nella definizione di un impianto
architettonico e urbano che trova la sua ragion d’essere nell’indagine del significato di spazio pubblico. In questa ottica, la ricerca di una soluzione che indaghi sinergicamente le soluzioni
formali, tipologiche, distributive e tecnologiche - misurandole sul denominatore comune della valorizzazione del sito come spazio costantemente fruibile dalla città e dai suoi abitanti - ha imposto l’obiettivo di indirizzare le scelte verso una possibile “integrità della forma” alla quale tentare di affidare il senso del progetto.
Una metodologia di lavoro che si è resa necessaria per rispondere nella maniera più esaustiva alle richieste di natura funzionale ed economica che emergono dallo studio di fattibilità propedeutico alla stesura del Bando di concorso. A fronte di tutto questo è possibile, in sintesi, definire l’approccio al presente tema progettuale come un approccio di carattere “speculativo”, nell’accezione filosofica ed etimologica del termine; un approccio proprio di un pensiero che si sviluppa liberamente e autonomamente, unicamente in forza delle pure leggi razionali del suo funzionamento. Un pensiero in base al quale la necessità di interrogarsi profondamente sulla cosa cui si è chiamati a dare forma impone l’annullamento di ogni forma apriori, proprio perché la forma stessa possa darsi più liberamente.
La Proposta generale tra programma e contesto
Il tema del concorso prevede l’elaborazione di un progetto per il Palazzo del Cinema della città di Locarno sulla base, come detto, di un programma funzionale definito e compiuto.
Le valutazioni emerse dallo Studio di Fattibilità, che hanno indotto l’Amministrazione Comunale a bandire un Concorso di Progettazione, hanno indirizzato la scelta operata dal gruppo di lavoro nella direzione di proporre per la nuova sede, stante le evidenti ragioni di carattere tecnico ed economico, un manufatto di nuova edificazione.
L’inevitabile analisi, all’interno di ogni intervento progettuale, del rapporto che insiste tra programma e contesto ha suggerito di ipotizzare per l’organismo architettonico
una configurazione spaziale che si collocasse all’interno di un intervallo sospeso tra la configurazione di un manufatto, propria del progetto di architettura e un’operazione di Landmark, propria della progettazione del paesaggio.
La riflessione condotta circa il tema dello spazio pubblico ha esteso, nello specifico, l’ambito dell’indagine alla nozione di evento; un processo resosi necessario per favorire la comprensione delle azioni progettuali necessarie a prefigurare spazialmente il sistema di relazioni che si instaurano tra quest’ultimo (l’evento) e lo spazio urbano di pertinenza.
In particolare, le considerazioni che hanno definito i criteri generatori del progetto hanno riguardato lo studio delle logiche che sottendono la fruizione di uno spazio per lo spettacolo e per la formazione in tale ambito.
Tali considerazioni sono state elaborate attraverso l’analisi dei ritmi che l’uso stesso dello spazio impone al fine di raggiungere lo scopo, prefigurato dal programma, di realizzare una sede che si strutturi e si offra come un polo di attrazione esercitando un ruolo che vada oltre quello, che assolve temporalmente, connesso alle specifiche attività in occasione del Festival.
In questo senso devono essere lette non solo le scelte tipo-morfologiche, indirizzate verso
un’ immagine fortemente rappresentativa, ma anche il rigore della struttura e le scelte tecnologiche mirate alla semplificazione della fruizione dello spazio interno e della gestione del
manufatto. Una serie di scelte che si sono orientate, quindi, verso la costruzione di una complessità rimessa, piuttosto che alla complicazione della forma, all’articolazione stessa dello spazio, disegnato, tuttavia, secondo caratteri distributivi, funzionali e tipologici lineari.
Particolare affidamento, infine, è stato dato al disegno dello spazio pubblico di pertinenza dell’organismo. Il progetto, infatti, ha posto tra i sui primi obiettivi quello di produrre un disegno d’impianto che incidesse in maniera assai contenuta in termini di occupazione dell’area di sedime, perché l’edificio, attraverso lo spazio aperto che lo circoscrive, potesse partecipare maggiormente della vita reale della città.
Le soluzioni morfologiche , tipologiche , e distributive
Per garantire i requisiti che il bando richiede per il manufatto in termini di rappresentatività e funzionalità, è stato necessario, come più volte affermato, affrontare congiuntamente le tematiche legate alle scelte morfologiche, tipologiche e distributive.
Queste scelte, incidendo l’una sulla formulazione dell’altra, concorrono a pari titolo alla auspicata armonia tra forma e funzione. Il primo obiettivo del progetto è stato quello di ipotizzare una soluzione architettonica per il complesso che garantisse rappresentatività e riconoscibilità all’intervento senza che questo, tuttavia, a fronte dalla ampia superficie richiesta per soddisfare i requisiti funzionali, risultasse invasivo verso il paesaggio. Un segno urbano in grado di rendersi riconoscibile attraverso la propria natura espressiva, lasciando tuttavia riconoscibilità
e autonomia anche agli edifici e agli spazi urbani circostanti.
L’immagine che si propone di offrire al visitatore è quella di un “continuum” urbano e spaziale rispetto alla quota della città dalla quale è previsto l’accesso, che si materializza attraverso la costruzione di una superficie, una sorta di “velo marmoreo”, che a partire dalla quota urbana, “ammanti” progressivamente l’intero complesso con la sola esclusione della sala per il cinema.
Un manto che, configurandosi dapprima come un piano leggermente inclinato, si offre superficie per eventi all’aperto, come una nuova piazza, nell’atto di raggiungere la dimensione orizzontale, dalla quale traguardare il paesaggio circostante e, infine, accogliere la dimensione verticale divenendo, a tutti gli effetti, facciata del complesso e quinta urbana. Il riferimento letterario e figurativo è quello della menade, per citare il capolavoro scultoreo del greco Skopas.
Il significato di questa scelta, in prima istanza, è quello, come detto, di recuperare e restituire ai fruitori dell’area la porzione di superficie che, in ogni architettura, viene sottratta dalla giacitura stessa di un edificio, rendendola, di fatto, praticabile operando una limitatissima azione di scavo.
Una scelta che, in secondo luogo, consente di superare di fatto il concetto di facciata come elemento di limite tra lo spazio esterno e quello interno a un organismo architettonico pubblico, permettendo all’intero impianto di assumere dei connotati di elevata permeabilità qualificandolo, prima ancora che una macchina per lo spettacolo, una vera e propria “macchina urbana” all’interno della quale lo spazio interno e quello esterno siano realmente in continuità fisica, fruitiva e percettiva. L’area si presenta, pertanto, interamente fruibile; uno spazio pubblico aperto al servizio dell’organismo oggetto di concorso, ma anche del sistema di spazi già in essere rispetto ai quali dovrebbe rappresentare un naturale elemento di completamento attraverso le due emergenze della sala da 500 posti e della lama che ospita gli uffici e la scuola. La natura del paesaggio circostante permette al sito di configurarsi, altresì, come luogo dello stare nonché area per eventi all’aperto e, al contempo, punto di osservazione privilegiato, oltre che naturale punto di arrivo
del percorso che attraversa l’adiacente centro della città.
L’immagine dell’intero organismo si riduce, pertanto, a tre elementi:
• il Piano inclinato che, nel raccordare la quota degli scavi archeologici con quella della piazza “alta” dalla quale traguardare il paesaggio circostante, costituisce il “velo” che ammanta prima lo spazio dei magazzini a disposizione della città e, successivamente, il volume degli uffici portando la luce nel foyer al quale conferisce altezza e rappresentatività;
• il volume della sala grande, unico elemento che assume una propria autonomia formale offrendosi, di fatto, come landmark in grado di incidere sul disegno del paesaggio urbano;
• il volume degli uffici e della scuola che si ripropone di mantenere la conformazione di tessuto urbano lungo la retrostante Via Conturbio.
La tipologia dell’impianto è improntata ai criteri di massima linearità per quanto attiene la definizione dei flussi tanto degli spazi esterni quanto di quelli interni. I primi, come detto, consentono di muoversi intorno all’organismo con grossa libertà configurandolo come
una sorta di quinta di uno spazio pubblico fluido, mentre i secondi prendono avvio dal disegno della piazza dalla quale è previsto, in conformità a quanto richiesto dal bando, l’accesso al complesso. Il percorso di ingresso, definito dallo spazio che l’organismo e il velo individuano in maniera inequivocabile, intercetta un foyer che, seppur rispettando le dimensioni richieste, acquista forte rappresentatività grazie allo spazio vuoto soprastante, delimitato dalla superficie del velo (permeabile alla luce) e dalla facciata interna del volume che accoglie la scuola e le attività amministrative. A beneficiare di questo vuoto, oltre al foyer, è lo spazio degli uffici dai cui percorsi di distribuzione è possibile affacciarsi verso l’invaso stesso del foyer.
Lungo l’asse longitudinale del foyer sono posti gli accessi alle tre sale e gli eventuali collegamenti ai livelli superiori dell’edificio che ospita il CCCA e gli uffici.
L’accesso a queste funzioni, qualora lo si voglia, può essere facilmente interdetto in occasione dello svolgimento di eventi che interessano le sale (e viceversa) attraverso modalità assai semplificate di controllo degli accessi. Una serie di scelte, lo ribadiamo, che intendono trasferire il principio di permeabilità fisica e percettiva dell’organismo rispetto al contesto urbano di riferimento anche al disegno dello spazio interno, ferma restando la assoluta attenzione al disegno dei flussi per quanto attiene la distinzione degli stessi in rapporto alle differenti modalità d’uso dello spazio nel corso del tempo. Uno studio dei flussi che garantisce un adeguato funzionamento e un’adeguata fruizione di tutti gli spazi anche laddove per necessità se ne rendesse necessario un uso parziale, senza tuttavia avere la percezione che una parte di organismo sia chiusa o interdetta, se non altro sotto il profilo spaziale, ai fruitori stessi del complesso.
Al volume degli uffici è altresì possibile accedere dalla retrostante via Conturbio, dalla quale, peraltro, è consentito, altresì, un accesso agevole alla piazza stessa del complesso, per favorire, ancora una volta, una fruizione efficace di tutti gli spazi che il complesso offre in rapporto alle dinamiche che di volta in volta esso dovrà accogliere ponendolo al servizio della città con lo scopo di ampliarne il ruolo, comunque essenziale, di palazzo che ospita il festival del cinema.