Riqualificazione piazza Bracci e aree limitrofe. San Lazzaro di Savena
I progetti possono essere pensati prima dell’esistenza di un luogo, di un programma o di un committente concreto assumendo una forma concreta solo mediante le condizioni di limite che appaiono poi. Il legame di ogni progetto, di ogni azione, di ogni pensiero, con un territorio di riflessione comune permette di dotare il nostro lavoro di una componente astratta, indipendente dalla forma. Si tratta di una riflessione, o di un vettore di interessi che in un secondo tempo viene personalizzato dalle condizioni concrete. Essendo ogni luogo naturalmente unico, anche il progetto acquisterà un carattere specifico. Un principio universale applicato ad una situazione particolare.
Stabilire un sistema di regole, dunque, che una volta definite siano in grado di reagire alle limitazioni del contesto generando un progetto di architettura. Una strada, un muro, un insieme di alberi saranno in grado, allora, di innescare una reazione a catena che inonderà il progetto e lo renderà unico.
La Via Emilia è all’origine dello sviluppo di San Lazzaro. All’interno della logica del progetto essa appare come il vero legame della piazza con il territorio e con la storia. Un segno che affonda le sue origini in un tempo remoto, che ha attraversato i secoli e ancora oggi rappresenta la connessione di queste zone con la memoria. Lungo questo asse, il nucleo urbano si è sviluppato ed è cresciuto. La localizzazione della Chiesa e del Municipio a ridosso della strada sono la logica conseguenza di questo processo. Attorno a questo polo si è diffusa una rete di villini e palazzine che caratterizza oggi l’aspetto della cittadina. La piccola scala, i rapporti di vicinanza e una atmosfera tranquilla costituiscono uno dei punti di forza di questo insediamento. L’area di progetto è situata nel cuore di San Lazzaro e si sviluppa trasversalmente rispetto alla via Emilia. Questo taglio verticale all’interno del tessuto urbano mette in gioco una serie di ambienti molto differenti tra loro. La rete delle connessioni che essa è in grado di stabilire appare molto complessa sebbene oggi non venga sfruttata completamente. I livelli di separazione tra il parco, la piazza e la città appaiono molto marcati. Lungo il suo sviluppo l’intera area subisce dilatazioni e compressioni che contribuiscono ad accentuare la complessità spaziale dell’insieme. La sensazione che si respira, allo stato attuale, è quella di una ricchezza inespressa, solo potenziale di risorse non sfruttate. Tutto il sistema deve proporsi come una zona di ricucitura urbana esaltando il suo carattere di polo a forte intensità civica.
Il progetto può essere letto come una continua oscillazione tra rigore e probabilità. In un mondo in costante evoluzione la probabilità ha sostituito la certezza e l’obiettivo diventa, allora, la realizzazione di un ambiente non gerarchico in cui i fruitori possano diventare protagonisti nella definizione stessa dello spazio. Ciò che veramente importa è la capacità di moltiplicare le relazioni tra esseri umani e luogo, inteso sia come ambiente urbano sia come spazio virtuale. Non più una semplice piazza dunque, ma un insieme di piazze, di luoghi e di atmosfere tra loro interconnesse e in grado di innescare relazioni su più livelli. Il procedimento utilizzato non mira a imporre una forma predefinita e statica allo spazio bensì a stabilire una serie di regole del gioco, di campi di forza che, in ultima istanza, consentano di soddisfare le specificità del progetto concreto. Una volta stabilita una legge di questo tipo le configurazioni possibili diventano infinite.
La limitazione è data dal contesto, dalle condizioni ai limiti che diventano però una ricchezza aggiunta. Il progetto si materializza raggruppando le cellule a modo di costellazione (1), vale a dire tramite una geometria di coordinate disperse nello spazio. Il disegno è definito da una forma geometrica pura che opportunamente moltiplicata e dilatata definisce una serie di aree tematiche che possono liberamente espandersi o contrarsi a seconda delle esigenze dei fruitori. Il risultato finale appare unitario senza però costrizioni o separazioni nette. I limiti possono essere superati. In questo modo si propone una struttura aperta (2) che, stabilendo un sistema di comportamento locale tipo, interviene nel dialogo con il contesto preferendo la dispersione alla compattezza, ciò che è diffuso a ciò che è limitato; in definitiva, una struttura architettonica e sociale de-gerarchizzata.
Una nuova topografia fondata sulle attività. Un progetto in espansione che soffre le costrizioni di confini troppo rigidi e che in vari punti li scavalca invadendo le aree limitrofe. Potenzialmente in grado di espandersi, va letto come un organismo vivo, in grado di respirare. Non cerca di stabilire configurazioni rigide ma lascia campo all’improvvisazione. Al centro di tutto stanno i cittadini e le loro aspirazioni. Si tratta di un processo di attivazione o eccitazione di un frammento, di quanto ci avvolge, paragonabile al lancio di una pietra in uno stagno (3) dal perimetro accidentato, che riceve in modo immediato le onde dirette, riflettendole, deformandole e interagendo con ciò che lo circonda.
Letteralmente il perimetro o la forma della trama cessano di avere importanza e qualsiasi disposizione è ugualmente valida. Lo spazio si contrae e si espande dando origine a momenti di grande intimità o a situazioni da piazza pubblica. Non ha dimensioni bensì portata. Non ha direzione. Resiste alla centralità e alla compartimentazione. È un campo attivato, caricato dagli elementi che lo circondano fisicamente ma anche da quelli che echeggiano al suo interno.
Il progetto evidenzia un “percorso naturale” e un “percorso culturale”. Il rapporto tra natura e cultura, rappresentato fisicamente nell’area di progetto dall’adiacenza di un parco a vocazione più naturalistica e una piazza pubblica ad uso civico, è il nodo centrale del progetto. I due sistemi, interpretati come parti di un’unica realtà piuttosto che come entità separate, entrano in contatto e si influenzano a vicenda, si confondono pur mantenendo una chiara autonomia. Da un lato il pavimento della piazza e i limiti del parco definiscono inequivocabilmente la distinzione tra i due mondi, dall’altro una serie di accorgimenti ristabiliscono il dialogo e tessono le relazioni spaziali che respingono l’idea di una separazione netta e inconciliabile. Il disegno della piazza si espande oltre la via Emilia a nord e sfuma verso i bordi.
La trama regolare della pavimentazione entra in tensione al contatto con il parco e si scompone. Gradualmente le linee ortogonali cominciano a spezzarsi, a deviare, trasformandosi in un disegno simile ad un insieme di rami caduti, che invade tutto il parco fino a raggiungere le aree più marginali. (4)
Percorsi definiti, altri suggeriti, altri ancora solo immaginati e da immaginare, lasciati all’uso quotidiano. Il disegno dei campi verdi, le geometrie di linee e superfici portano con se l’immagine delle cortecce dei platani (5) a cui si ispirano.
I leggeri salti di quota e le molteplici geometrie contribuiscono a realizzare uno spazio mutevole in continua trasformazione. Alla base un sistema complesso di pavimentazioni e superfici a verde che si trasforma reagendo alle diverse sollecitazioni dell’area. Attraverso la diversa durezza, il diverso suono, i valori cromatici e olfattivi, si moltiplicano i livelli interpretativi generando un ambiente ricco di stimoli inaspettati. Il suolo, o per meglio dire, i suoli appaiono come una presenza archeologica preesistente, che rinforza la sensazione di radicamento nel luogo e nella memoria.
Un ambito con maggiori sollecitazioni diventa più efficiente. Lo spazio risulta condizionato più dai suoi rapporti topologici che non dalla sua definizione formale. Le panche doppie e circolari di Piazza Bracci innescano meccanismi molto complessi, nelle parti concave creano microspazi dedicati ad una socializzazione intima, in quelle convesse consentono l’isolamento e la possibilità di concentrazione. Avvicinandosi l’una all’altra definiscono ulteriori zone di contatto.
Le nuove panche, variamente accostate contribuiranno a creare un ambiente ricco di possibilità diverse, una serie di micro- piazze che entrano in relazione tra loro e con lo spazio pubblico. Come la danza continua ed ossessiva dei Dervisches Tourners (6) i vari elementi entrano in tensione mettendo in vibrazione lo spazio tra loro ed intorno a loro. Esse stabiliscono aree di influenza variabili che in vari punti si intersecano generando zone di attrito. Sono i punti a più alta interazione sociale dove lo scambio è molto intenso. Altre zone sono più dimesse e tranquille lasciando campo libero all’intimità.
La differenza tra giardino e parco sta tutta nella “rottura del confine”, la rottura del recinto permette di fondere il giardino con il paesaggio, con la città, con il territorio di cui è parte. Il giardino è un arcipelago instabile di isole: alcune in via di emersione, alcune emerse, altre già sommerse. Secondo questa visione, il giardino è paragonabile a un viaggio, un percorso, un’esperienza. Proviamo ad utilizzare il più possibile quello che abbiamo, selezionando ciò che va eliminato o spostato e stabilendo nuovi legami e possibili percorsi. Un progetto in grado di mantenere quasi tutto. Aggiungendo solo quello che è necessario. In fondo, come diceva Fernando Tavora: “ogni architetto è un restauratore nel senso proprio del termine: cerca le migliori qualità che sono presenti in un luogo e con esse lavora”.