Un’idiozia conquistata a fatica
"Un’idiozia conquistata a fatica" è la citazione di un’opera di Giorgio Gaber (il Sig. G), maestro di ironia e attento e caustico critico della vita, della società, delle brame e degli affanni dell’uomo.
"Un’idiozia conquistata a fatica" è la scritta che campeggia candida, spumosa e sospesa a mezz’aria, su un prato verde steso in verticale su una delle (poche) pareti della nuova residenza studio di Stefano Gambacciani (per un caso curioso e squisitamente fortuito, l’Arch. G). "Un’idiozia conquistata a fatica" è il simbolo della volontà indomita, della caparbietà e della motivazione a perseguire un sogno, nonostante le apparenti, molteplici e tristemente popolari difficoltà legate al mercato, al periodo storico, ai fattori contestuali e contingenti. Nonostante i numeri preoccupanti che rendono la sua posizione, come quella di molti altri giovani nelle sue stesse condizioni naturalmente, pericolosamente in bilico tra incoscienza e coraggio. Al 2005, secondo l’ultima ricerca svolta dal CRESME (Centro Ricerche Economiche Sociali di Mercato per l’Edilizia e il Territorio) gli architetti in Italia, abilitati e iscritti ai relativi ordini, sono numerosi quanto quelli di Spagna, Francia, Inghilterra e Germania messi tutti insieme (circa 123.000). Stefano Gambacciani si laurea "cum laude e menzione di dignità di pubblicazione" nel 2006 presso la facoltà di architettura di Firenze, da allora collabora con i più prestigiosi studi di interior design e di architettura di Firenze e, nel contempo, non abbandona la carriera accademica, tenendo corsi di arredamento presso l'università di Firenze e collaborando come assistente in diversi laboratori di progettazione. In questo stesso anno (2012) sta ultimando il Dottorato di Ricerca in Progettazione Architettonica e Urbana sempre presso la facoltà di Architettura di Firenze e, in cerca di un personale spazio di espressione e libertà decide di inaugurare questo nuovo luogo di vita e di lavoro. Posto a Firenze, al primo piano di un edificio d’angolo tra Via Pier Capponi e Via Valori, destinato a Centro Meccanografico Enel dai primi anni ’60 e recentemente, e con molta intelligenza, ristrutturato, lo spazio si articola senza soluzione di continuità con una configurazione ad L ed è inondato di luce dalle generose finestrature che si aprono lungo tutto il fronte prospiciente Via Valori. Sotto e tutt’intorno le finestre si distendono le librerie modulari, assemblate e adattate in opera, che ospitano tutto il materiale cartaceo che, nonostante l’imposizione sempre più pesante delle riproduzioni digitali, rimane comunque una risorsa inestimabile. L’angolo interno che incide nello spazio, dividendo le due ali asimmetriche, è ammorbidito e scompare dietro una cortina di tende arricciate, smaterializzando lo spigolo dato dalla parete del bagno e dalla nicchia che contiene l’armadio. Dietro le tende che continuano dalla porta di ingresso fino alla parete di fondo che accoglie la testata del letto, si cela anche l’ingresso al piccolo bagno completo di ogni dotazione. Le linee minimali della fulgida cucina lineare e dell’armadio composto da tre colonne a corredo, scandite dalle fughe delle gole delle aperture, sono sottolineate dai fianchi e dal piano in rovere sbiancato. Attorno al grande tavolo intorno al quale ruotano tutte le attività quotidiane, il lavoro, lo studio, il divertimento, i pranzi e le cene, le sedie recuperate da una sala conferenze che stava rimodernando gli arredi. Due sottili lame di specchio generano scorci inattesi e amplificano lo spazio, uno posto tra il piano della cucina e i pensili che riflette la finestra retrostante donando un altro punto di luce e lo spazio interno rendendone partecipe anche chi sta lavorando alla cucina, l’altro a lato della parete di erba che moltiplica all’infinito la serie delle finestre adiacenti, scomponendo in una lastra sospesa la parete verde. I corpi illuminanti, metafora delle lampade da officina, penzolano con tutti i cavi a vista e generano un’illuminazione puntuale e fortemente caratterizzante in funzione della loro posizione, numero e altezza da terra. Tutto l’intervento è stato realizzato quasi completamente dalle stesse mani dell’architetto che, insieme ai suoi genitori ed alcuni amici, hanno segato, incollato, verniciato, tagliato, cucito, tappezzato (etc.) nell’ottica di ottenere con il minimo sforzo economico il massimo risultato. La nuova residenza studio di Stefano Gambacciani Architetto rappresenta un piccolo centro nevralgico concentrato, una micro cellula cerebrale che funziona grazie al sistema infrastrutturale digitale capace di collegarlo ad una rete più ampia di interscambi tra altre piccole cellule disperse sul territorio dominate da grandi potenzialità intellettuali e di ricerca che rischiano di rimanere inespresse e inutilizzate. Quest’operazione vuol essere
di stimolo ai tanti giovani e validissimi professionisti e ricercatori che si trovano nelle stesse condizioni a creare un vasto circuito, costituito da micro studi economicamente proporzionati alle disponibilità personali, ma pienamente operativi e forti della rete di comunicazione che li unisce, tanto da trasformarsi in un grande organismo pensante, operante, economicamente autosufficiente. E poco importa se l’erba è sintetica, se qualche arredo in truciolare, e tutto lo spazio si chiude intorno a 35 mq: l’idiozia è compiuta. Desiderata, perseguita, conquistata a fatica, la realizzazione di un sogno ha preso sostanza, le radici di una speranza sono state gettate... con tutta la dovuta ironia, naturalmente.