"DOSA" Museo nel futuro parco archeologico- fluviale di Sarcapos. Villaputzu
TORNARE ALLA LUCE
La conquista della luce , assoluta aspirazione dei resti archeologici, è assunta come guida del progetto. Il museo appare, lentamente, come un frammento. E’ apparentemente un “non finito”.
Il suo aspetto lo avvicina al tema delle rovine. E’ fatto di pochi materiali, granito grigio, cementi, ferri, cristalli scuri e soprattutto luce che, sono accostati semplicemente e in modo quasi elementare.
Il progetto si sviluppa attraverso la creazione di una topografia artificiale. Tra edificio e suolo si stabiliscono una serie di complesse relazioni. All’esterno, esso appare come appena scavato. Parte di sé è ancora sotto la collina. Un possente basamento rivestito in granito grigio e parzialmente coperto di ghiaia a grana grossa contiene tutte le strutture di servizio. Attraverso di esso, naturale ed artificiale entrano in contatto. Sopra di esso, sul sedime della vasca di raccolta più alta si staglia un solido puro, un cilindro. Segue l’impronta data e la sfrutta a suo vantaggio. E’ un segno riconoscibile nel paesaggio, semplice ed evidente. Non si nasconde, si impone. Il DOSA si eleva su questa piattaforma come un blocco roccioso e compatto. Solo poche aperture permettono di intuire la vita che si svolge al suo interno.
L’impianto planimetrico è certamente debitore delle immagini dei resti dell’architettura nuragica (1) ma, allo stesso tempo, deve molto anche ai lavori ed ai pensieri di Eduardo Chillida (2).
Il DOSA è un’esperienza.
Dalla strada provinciale un piccolo viale di accesso conduce al museo. Sul sedime della vasca più bassa è stato ricavato il cortile di ingresso. Una fenditura nel perimetro permette l’accesso e ci introduce nel mondo del DOSA. Ci troviamo immersi in uno spazio circolare che ci avvolge e da cui possiamo vedere il corpo delle sale espositive. Su di esso affacciano i laboratori e la parete dell’auditorium. Uno spazio protetto in grado di ospitare eventuali mostre all’aperto. Una lunga lastra di cristallo separa i laboratori dal cortile. E’ orientata a nord e contiene una serie di scaffalature su cui sono esposti i reperti in lavorazione. Il grande infisso dei laboratori piega verso l’ingresso principale e ci introduce in profondità verso gli spazi interni. Si entra e subito si ha la sensazione di “andare sotto”.
Pavimenti e soffitti in cemento non trattato costruiscono una atmosfera massiva. Le ombre sono profonde, le luci solide. Un’architettura stereotomica che lavora sullo scavo e la sottrazione.
Sulla destra sono stati collocati la biblioteca, l’auditorium e una piccola corte aperta. Sulla sinistra, invece, la biglietteria, il guardaroba, la libreria, la caffetteria ed i servizi. La caffetteria è stata dotata di una terrazza all’aperto per poter godere del panorama verso il Flumendosa.
Dal foyer di ingresso, una profonda apertura immette nel corridoio in leggera discesa che porta dritti nel cuore del museo. Si scende in basso. La discesa rappresenta l’immersione fisica nella stratigrafia del terreno. Sulle pareti del passaggio sono visibili piccoli dischi in vetro su cui sono raffigurate impronte di radici, rami, vegetazione come se questi ultimi conservassero i resti del suolo da cui sono stati scavati. Attraverso questa fenditura si arriva alla sala ipogea (3). Questa sala è il progetto. Un pozzo di luce racchiuso in un volume. Sul pavimento, un velo d’acqua ne ricopre la parte centrale. Dopo tanto peso, questo spazio è un’ esplosione. La sala è una macchina sensoriale. Uno spazio intimo, introverso e spirituale. L’unico contatto con la natura è l’occhio superiore. Lo spazio è scavato. In alto vediamo la luce, la nostra aspirazione, in basso, sul pavimento, l’acqua ci ricorda che tutto qui è cominciato attraverso di essa. Il mare ed il fiume sono stati la causa della nascita e dello sviluppo della civiltà. Sulle pareti, i dischi in vetro affogati nel cemento diffondono una luce eterea mentre piccoli fori consentono la vista dall’alto delle sale . L’occhio è aperto e l’edificio sembra respirare.
Tutto il museo è costruito intorno a questo vuoto. La luce penetra nel vuoto e va a violare la profonda ombra dell’ipogeo. Il DOSA rappresenta un’immersione nella storia e allo stesso tempo l’emersione di una forma. Da qui inizia il nostro percorso di risalita.
Una lunga panca scavata lungo il suo perimetro permette di sostare e osservare. E’ uno spazio che richiede concentrazione. La luce si sposta lungo la parete del cono e l’atmosfera cambia continuamente. E’ un luogo del silenzio. I rumori del foyer si annullano e anche la temperatura e l’umidità cambiano. Siamo in un corpo vivo che reagisce e pulsa. Il suono dell’acqua, il soffio del vento, l’eco dei passi dei visitatori creano un’atmosfera sospesa. Dalla sala ipogea un passaggio conduce all’ingresso della rampa (4).
Questa si snoda incuneandosi tra le pareti dei cilindri. Il museo è organizzato attraverso una serie di cilindri ricavati uno dentro l’altro. Una stratigrafia orizzontale. La parete più esterna ha uno spessore variabile da 2.5 a 1.5 ml . tra questa e quella successiva c’è uno spessore di 3.5 ml che contiene la rampa; lo spessore più interno è limitato dalla parete del cono della sala ipogea. Quest’ultimo settore contiene le due sale dedicate alle esposizioni temporanee. L’esposizione permanente è organizzata sulle e dentro le pareti che limitano la rampa. Questa ha uno sviluppo di 200 ml ed una capacità espositiva a parete di 260 mq sul lato esterno e di 200 mq su quello interno. Piccole aperture lungo il percorso consentono di guardare all’interno ed all’esterno del museo. la rampa compie in tutto tre giri completi. il primo è il più oscuro, poi lentamente il livello della luce aumenta giungendo sia dai lati che dalla copertura. Il terzo ed ultimo giro è all’aperto e porta alla terrazza.
Al termine del primo tratto è possibile uscire sulla terrazza superiore del museo. La copertura della zona di ingresso si trasforma quindi in una terrazza sopraelevata utilizzabile per mostre all’aperto o per contemplare il panorama. Alla fine del percorso si raggiunge la terrazza. Da qui la vista può spaziare a 360°. La luce è totale ed è possibile leggere l’intero sistema. Ancora una volta abbiamo un recinto circolare ma ora il suo orizzonte è il mare. La materia è diventata luce.