“Tutta mia la città?” è un’installazione temporanea
realizzata nel Cortile Maggiore del Palazzo Ducale
di Genova e presentata in occasione della “Settima
Giornata del Contemporaneo” promossa da AMACI
in collaborazione con l’Associazione Culturale
“Profondità di Campo”.
Il progetto rappresenta una provocazione estetica,
una visualizzazione critica delle questioni relative
all’utilizzo ed alla gestione degli spazi pubblici.
Spesso non è la mancanza di spazi liberi ad
affliggere la città contemporanea, quanto la
qualità degli stessi, l’essere solo nominalmente
e formalmente pubblici e non sostanzialmente
e concretamente. Politiche di privatizzazione,
accessibilità garantita solo in alcune ore del giorno
e negata ad alcune categorie di cittadini (pensiamo
ai disabili, agli anziani, ai bambini), incuria da parte
della Pubblica Amministrazione così come dei
cittadini stessi, mancata progettazione: questi sono
solo alcuni dei problemi che di fatto impediscono
che uno spazio pubblico venga davvero utilizzato
e vissuto dagli abitanti. Senza uso non esiste
identità, senza identità uno spazio mai diventerà
un luogo.
Il prato intercluso collocato al centro del cortile
è un ossimoro che si materializza: un luogo di
incontro dal quale si resta esclusi, una porzione di
verde pubblico della quale si può solamente, con
difficoltà, percepirne la presenza attraverso anguste
fessure. Giro attorno, cerco un varco, mi affaccio
dalle feritoie, scorgo altre persone di fronte a me
nella mia stessa situazione. Delusione e un poco di
rabbia, stupore e frustrazione. Il muro di cemento
svolge il ruolo che tutti i recinti finiscono per
ricoprire: protegge e preserva, ma soffoca il colore
dell’erba e priva lo spazio della vita che gli sarebbe
propria. E’ ancora verde? E’ ancora pubblico?
L’installazione è stata auto-costruita in una
giornata di lavoro. I blocchi “Leca” sono stati
prestati da un fornitore di materiali edili in qualità
di sponsor tecnico e restituiti dopo lo smontaggio;
i muri sono stati assemblati a secco e tenuti in
pressione per mezzo di cinghie da imballaggio che
attraversavano il muro per tutta l’altezza. Il tappeto
erboso a rotoli, sopravvissuto ai due giorni di
arsura cittadina, continua a verdeggiare nel piccolo
giardino di una casa sulla Riviera Ligure.