San Pio da Pietrelcina in località Malafede, Roma
Concorso di idee per studi di progettazione di nuovi complessi parrocchiali in Roma.
La pianta della chiesa di S. Pio è disegnata da un rettangolo di proporzioni 2x1.
Al centro del lato maggiore del rettangolo è posto l’altare, mentre nella parete di fronte, anche se spostato leggermente verso est, è collocato l’ingresso. Questa posizione dell’altare, inconsueta nelle chiese a pianta longitudinale, è in armonia con le volontà liturgiche emerse dal Concilio Vaticano Secondo, per le quali l’insieme dei fedeli costituisce “comunità” e di conseguenza è necessario che essa usufruisca di una forma spaziale idonea per raccogliersi intorno al “suo Pastore” senza particolari gerarchie di posizione, cosa impossibile con la tradizionale collocazione dell’altare sul lato corto nelle chiese a pianta longitudinale. L’alzato della Chiesa è definito da curve che si disegnano su piani verticali collocati in corrispondenza dei lati maggiori del triangolo di base; in particolare, sul lato sud si disegnano tre curve in continuità ma diverse tra loro, mentre su quello opposto vi è la traccia di un unico segno curvilineo; la superficie rigata che unisce l’insieme di queste curve costituisce la copertura dell’aula liturgica. Senza fare riferimento a retorici richiami teologici è facile individuare la grande forza simbolica che nasce dalla complessità di questa geometria.
Nella fase di concorso, in un disegno concettuale rappresentante questa superficie di copertura venne scritto, al margine del foglio, a sua spiegazione: il rapporto tra il “molteplice” e “l’uno”.
In verità tutta l’intenzionalità progettuale, la volontà simbolica e il “significato” profondo che hanno presieduto al disegno di questa chiesa sono scritti in questo rapporto dialettico tra le categorie fondanti la cultura occidentale dove però, fermo restando la categoria dell’”Uno”, quella filosofica e generica del “molteplice” si determina in termini cristiani nel “Trino”.
Lasciando alle meditazioni teologiche le riflessioni sugli sviluppi di questa dialettica e restando nel recinto dell’architettura è fuori di dubbio che tanta parte della produzione ecclesiale nasce a partire da questa concezione religiosa del mondo. Le piante basilicali e le sezioni tripartite che unificano concettualmente gli schemi longitudinali con quelli centrali rappresentano la tradizione alla quale questo progetto fa riferimento. Non è un caso se il segno nel quale è “scritta“ la natura simbolica del progetto sia proprio la “sezione”, intesa come massima rappresentazione della spazialità simbolica del progetto (qui la sezione stessa diviene facciata collegandosi in questo a una aspirazione centenaria e difficilmente risolta del progetto ecclesiale). Certamente questa è una interpretazione contemporanea della tripartizione spaziale; qui non vi
è simmetria, qui lo spazio fluisce libero nella complessità geometrica essendo tuttavia diretto verso l’unicità della volta che protegge il luogo sacro del presbiterio. Al modo barocco (siamo a Roma) un grande manto si piega e avvolge l’assemblea dei fedeli creando un’architettura di pura luce, dove la meditazione e soprattutto la preghiera possano trovare con naturalezza il proprio luogo.
Siamo dunque lontani da una immagine figlia di puri gesti formalisti e tesa semplicemente a creare l’”evento”. Siamo invece di fronte a una architettura che a partire da una nuova interpretazione di segni millenari si rivolge alla città con una forte immagine identitaria capace di trasmettere a contesti anonimi il senso di una loro diversa e migliore configurazione, assolvendo così al compito che essa ha sempre svolto all’interno dei tessuti urbani.