Un laboratorio degli anni 50 in un cortile interno di via bertini, in zona sarpi, la chinatown di milano, è lo spazio che EDI, effetti digitali italiani, società leader nella post produzione per il cinema e la televisione, ha deciso di trasformare nella sua nuova sede. Una copertura con splendidi shed a volta alti più di sette metri modula la luce. Lo spazio, ormai svuotato di tutti i macchinari utilizzati un tempo per la realizzazione di minuteria metallica, è composto da 3 navate, lunghe trentacinque metri. Il progetto ha cercato di conservare la natura dello spazio, salvaguardando l’atmosfera industriale.
Una grande scatola bianca forata da tre cavedi per far arrivare la luce anche nella nella parte senza finestre, all’interno del quale si articolano dei box fatti con diversi materiali. Un piccolo villaggio post moderno, l’occupazione spontanea di un grande vuoto da parte di lavoratori post materia, che continuamente ricreano e inventano ciò che non c’è.
Uno spazio industriale abbandonato e poi rinato, un tempo si lavorava il ferro, adesso i bites, che corrono nei fili a vista sulle canaline, dalla sala ced alle postazioni di lavoro. La parte operativa è un grande open space a tutta altezza dove grossi tavoli tondi con dieci postazioni l’uno sono collegati tra loro attraverso le canaline dell’impianto elettrico che fornisce loro dati ed energia, le materie prime per la produzione di immagini virtuali. Non si è cercato di nascondere gli impianti sotto traccia, ma neanche si è cercato di enfatizzarli, semplicemente stanno lì dove servono, è un luogo di produzione prima di tutto.
Poi ci sono i box: una roulotte di acciaio è il piccolo cinema in cui i clienti visionano le post produzioni, un grosso container verde contiene il ced, il cuore pulsante del sistema. Un box rivestito in lamiera forata che fa filtrare la luce, come fosse una grossa lampada, è l’officina dove vengono smontati, modificati, aggiustati i computer. Il blocco bagni è rivestito in piastrelle, ma all’esterno, l’interno e intonaco semplice. Un altro box, per i clienti è rivestito in pannelli di legno gialli da cassero, un altro in lastre di ferro scuro. A collegare questi box c’è una passerella di 25 metri appesa al soffitto con dei tondini d’acciaio a cui si accede tramite tre scale che creano un percorso in quota, si affaccia sulla doppia altezza degli operativi, connette le salette clienti al salotto posto all’ingresso. “L’integrità della sua campata era rigorosa quanto il programma moderno stesso, ma intorno ad essa era cresciuta un’altra realtà che seguiva una sua logica. Questo era accaduto un pezzo per volta, senza seguire alcun piano, utilizzando ogni tecnica e ogni materiale immaginabili. Il risultato era qualcosa di amorfo e di sorprendentemente organico.” william gibson_luce virtuale