Resti persistenze
Un'idea per la ricostruzione - proposte per l'emergenza
Con Luca Porqueddu
L’obiettivo del nostro lavoro è stato formulare una proposta progettuale critica rispetto all’ormai codificato progetto di habitat temporaneo, chiamato sempre più a produrre futuristici disegni di strutture effimere supportanti moduli abitativi autosufficienti, espandibili, sostenibili, tecnologicamente avanzati. Soluzioni certo suggestive, tuttavia incapaci a nostro avviso di confrontarsi con gli imprescindibili corollari tecnologici ed economici del progetto di emergenza abitativa, e con il più rilevante dato progettuale, il reale paesaggio del terremoto, le sue immagini di distruzione, di rovina del pre-esistente. Partire perciò da tali immagini, tanto da porle alla base del lavoro, ci è sembrato il modo più semplice per dare forza alla nostra idea di ri-costruzione. Un muro come semplice soluzione di continuità tra l’esistente e il nuovo, un’architettura di muri, costituita da due setti alti 12 metri e distanziati tra loro, riempiti dalle macerie dei centri colpiti dal sisma: questo il progetto. Muri di rovine, resti di edifici ridotti dalla stessa natura a geografia, incapaci di farsi frammento, animati per sempre dalla memoria di essere stati architettura. Il progetto dello spessore (2 metri) permette di ospitare percorsi, scale e vani tecnici, scavando la sezione del muro, innervando e strutturando la memoria inerte delle macerie all’interno di una nuova immagine urbana. Primo stadio progettuale, l’edificazione dei muri disposti nel territorio permette di ricucire tracciati e tessuti urbani preesistenti, oltre ad assumere il carattere fondativo di insediamento autonomo, costruzione di nuovi processi di antropizzazione. I setti, elementi lineari del progetto, costituiscono il supporto per l’edificazione degli alloggi di emergenza, nonché dei servizi commerciali e degli spazi pubblici, configurandosi come originale scrittura insediativa, ampliabile e teoricamente reiterabile all’infinito. Difatti una struttura secondaria costituita da travi e pilastri in legno, ortogonale ai muri opportunamente punteggiati di fori disposti al passo costante di 6 metri, collega le pareti esterne in cemento armato in modo da costruire un reticolo aereo in grado di ospitare la cellula minima, l’unità abitativa temporanea. Una tecnologia “leggera”, come quella del legno, è scelta in quanto idonea per essere appropriata all’identità dei luoghi (si è pensato nello specifico della proposta progettuale al recente terremoto a L’Aquila e ai centri minori dell’Abruzzo) ed appropriabile (tecnologia facilmente esperibile dall’utenza e trasmissibile), nonché in grado di conferire ampliabilità e smontabilità alle cellule. Travature e pilastri costituiscono a loro volta il supporto per gli impalcati delle cellule abitative, alloggi mono e plurifamiliari espandibili, ad uno o a due piani, muniti di servizi autonomi, sospesi 3,5 metri da terra per garantire la mobilità pedonale e veicolare al livello inferiore e una ideale aeroilluminazione. La sezione dei due muri e delle cellule abitative comprese costituisce l’unità architettonica e di impianto minima. Tale unità ha una larghezza pari a 12 metri (l’interasse tra due muri) e una lunghezza variabile, teoricamente illimitata nella sua dimensione programmatica. Il numero di alloggi per unità architettonica minima è di 6. Dall’unità architettonica minima di tipo residenziale, il sistema è in grado di auto generarsi per processo additivo, sino al maggior grado di complessità insediativa, ovvero un sistema caratterizzato da 16 unità architettoniche minime, (12 unità residenziali, 3 unità verdi, 1 rampa) , ed 1 unità specialistica, contraddistinta da botteghe commerciali, servizi, alloggi simplex, trasversali alle unità base. Il numero di abitanti di tale sistema è di 450, soggetto ad ulteriori ampliamenti. Se quindi il muro si pone come l’invariante della nuova forma urbis, elemento supportante i percorsi e il sistema degli accessi, la complessità urbana è garantita dalla ricchezza tipologica e morfologica delle cellule abitative. Il progetto prevede in tutto 4 tipologie, 2 tipologie simplex e 2 duplex. Gli alloggi duplex sono di 90 e 105 mq, destinati rispettivamente a famiglie e a gruppo di studenti, caratterizzate da doppie altezze interne e logge. I simplex sono di 45 mq destinati a giovani, portatori di handicap ed anziani soli. L’accesso alle cellule avviene direttamente dal piano veicolare a quota zero, attraverso le scale collocate all’interno dei muri, fatta eccezione per le tipologie destinate ai portatori di handicap e agli anziani, che vi accedono direttamente al piano tramite ascensori inseriti nel muro o rampe pedonali. La complessità morfologica è di fatto affidata al ruolo dell’utenza all’interno del processo di appropriazione della residenza e alla capacità trasformativa dell’alloggio.
L’opportuno dimensionamento dell’unità architettonica, nonché la flessibilità della struttura secondaria in legno permette di smontare e riprogettare l’intervento a seconda di eventuali emergenze, consentendo il cambiamento di varie destinazioni d’uso (botteghe artigiane, mercato, giardino pubblico) lasciando ai percorsi interni e in quota nei muri di macerie, l’immagine immutabile di architetture per la nuova città.
Francesco Cianfarani
Luca Porqueddu